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Descrizione

Cleto è un piccolo comune della provincia di Cosenza, il cui abitato fu costruito dai normanni lungo le pendici del monte Sant’Angelo alla cui cima fu edificato un Castello che tuttora domina la valle fino al mare.

Nel periodo della guerra di Troia, X secolo a.C., la regina delle amazzoni Pentasilea "rimase uccisa in battaglia da Achille, Cleta sua nutrice, che l'amava con tenerezza, nell'udire la triste notizia, posta su una nave e accompagnata da molta gente, partì col pensiero di poterle dare onorata sepoltura". Così, Cleta, ancella di Enea "come fu nei nostri mari scese a terra e o perché trovò impossibile compiere il pietoso ufficio o forse perché le piacesse l'amenità del sito decise di non passare più oltre, vi si fermò ed edificò la città che dal suo nome si chiamò Cleto" realizzando così la profezia di Cassandra.

La città crebbe di popolo e di forze, tanto che all'epoca dello splendore della Magna Grecia entrò in guerra con Crotone (anno 16 a.C.). I Crotoniati, con un esercito, uccisero la regina, la quale, prima di morire, ebbe ad esprimere il desiderio che tutte le regine che avrebbero regnato dopo di lei portassero il suo nome; così "tutte le regine della città furono dette Cleta".

Distrutta nel 16 a.C. dall'esercito di Crotone, Cleta conosce un periodo di decadenza che si trascina fino all'anno Mille, quando la Calabria è costituita da una moltitudine di villaggi montani, isolati e autosufficienti, che fanno da corona ad una campagna abbandonata ed alle coste in preda alla malaria.

L'antica Cleto (Petramala in dialetto locale, Kletè, Κλητή in greco antico), durante la dominazione normanna mutò il suo nome in Pietramala e il nome rimase tale fino al 1862 quando divenne Cleto. Anche sul nome Pietramala le congetture sono molteplici, oltre che alla possibilità che il nome derivi dalla famiglia feudataria, si pensa che abbia qualche legame con la posizione: Pietramala nel senso di "pietra dura", cattiva, come scrive Vincenzo Padula: «Pietra grande, pietra inaccessibile a guisa di Piramide, (…) le sole formiche possono salire in Pietramala».

Si può ipotizzare la presenza di un abitato fortificato già in periodo altomedievale, poiché sono attestate nel periodo normanno notizie riguardanti il feudo di Pietramala, legate alla Badia dell'ordine Florense di Fontelaurato. Divenuta estremamente importante e influente, l'abbazia ebbe il governo di vasti possedimenti e tenute, oltre che a Fiumefreddo Bruzio, anche a Pietramala, Savuto e Nocera Terinese, nel cui territorio vantava il possesso delle coltivazioni del “turbolo”, con case e vigneti aggregati. Questi possedimenti, che si spinsero nell'attuale territorio di San Mango d'Aquino, furono confermati all'abbazia da Papa Clemente IV nel 1267, verso Sud fin oltre il fiume Savuto e a nord fino a Fuscaldo.

Contemporaneamente alla crescita dell'Abbazia assurgeva a sempre più importanti posizioni la città di Aiello Calabro, destinato a diventare il centro di uno Stato feudale. La Baronia di Petramala seguì con alterne vicende la storia della Contea di Aiello, della quale era parte integrante insieme con altri castelli e casali e dalla quale riuscirà a ottenere una certa autonomia politica nel corso dei secoli. Le prime intestazioni feudali risalgono al periodo svevo, quando il castello risulta essere appartenuto prima a Jacobus de Petramala, e poi a Goffredo di Petramala.

Nel periodo angioino Petramala, risulta essere casale dello Stato di Ajello insieme ad altri feudi e castelli. La Calabria sotto gli Angioini conobbe un periodo di decadenza, la crescita economica si arrestò, dilagò il latifondo e quando Carlo I D'Angiò distribuì i feudi confiscati ai sostenitori della casa di Svevia tenne da parte i baroni calabresi e favorì i nobili della Provenza che erano venuti in Italia al suo seguito. La rivolta contro il dominio angioino, scoppiata all'arrivo in Italia di Corradino di Svevia (1268), figlio di Federico II, vide la resistenza di Ajello e di Amantea contro Pietro Ruffo. Ma il Giustiziere di Aiello Giovanni Brayda e l'Arcivescovo di Cosenza Tommaso da Lentini assoldarono un gran numero di armati e riconquistarono le città, assieme a quella di Arena, infierendo sui "traditori".

Nel 1421 Luigi III d'Angiò nomina capitano e castellano di Aiello “Giovanni” conferendogli in feudo le dipendenze di Pietramala, Lago e Savutello. Le terre, passate in proprietà di Andrea, nobile di Sorrento, ed ereditate dalla figlia Antonia e dal marito Artusio Pappacoda, furono vendute nel 1425 a Giovanni Sersale di Sorrento, con l'assenso di Luigi III tramite il suo giudice e consigliere Antonio Telesi.

Nel periodo aragonese il feudo di Petramala, insieme a Lago e Savuto, è ancora alle dipendenze dello Stato di Aiello. Nell'investitura del feudo di Ajello si succedono due importanti famiglie: i Sersale di Sorrento, casato nel quale si distinse il noto Sansonetto, e la famiglia spagnola dei Siscar, cavalieri premiati dai sovrani per la loro costante fedeltà.

Nel 1442 Alfonso I, detto il Magnanimo, primo re aragonese di Napoli, conferì ai suoi seguaci nell'impresa della riconquista del Regno, privilegi e investiture di feudi. Con un documento datato 24 luglio 1442, fu concessa la castellania e capitania di Agello “pro se et suis heredibus” al nobile Antonio Sersale di Sorrento, signore di Savutello, Petramala e Lago.

Nel 1616 Petramala veniva ad appartenere, come per assenso regio del 2 gennaio, al Dott. Ercole Iannuccio o Giannuzzi. Sotto i Giannuzzi-Savelli Petramala ebbe un notevole incremento demografico passando dagli 825 abitanti del 1644 ai 1556 abitanti del 1798, e divenne una baronia indipendente, con vita autonoma; tale rimase, per più di un secolo, sotto la stessa signoria, fino all'abolizione della feudalìtà.

Pietramala partecipa al movimento risorgimentale contro il governo borbonico con Nicola Pagliaro, accusato nel 1847 di cospirare contro la sicurezza dello Stato, e con Federico Spanò e Luigi Scorza, accusati di complicità in un mancato regicidio. Al momento dell'Unità d'Italia, Pietramala, che aggrega pure la frazione di Savuto, arriva a contare complessivamente 1.515 abitanti e nel 1863 il paese cambia la denominazione in Cleto.

Meritano sicuramente una visita il Castello Normanno e la Fontana Cece, in località Pantano, di eccezionale rinomanza archeologica. In quest'area sono stati portati alla luce una tomba a grotticella risalente al XIV secolo a.C. e due asce di rame datate alla fine dell'Eneolitico.

La produzione dell'olio è una delle basi dell'economia locale, oltre al turismo e l'agricoltura in generale. Molti sono anche i piatti e i prodotti tipici.

E Borghi

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