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Descrizione

Il nome

Il toponimo più antico è Balbia, voce fenicia derivante da Baal, che significa “signore” e “divinità”. Con questo nome la città era conosciuta dai Romani, infatti Plinio il Vecchio la cita tra quelle che producono vini pregiati come, appunto, il Balbino. Nel 1065 l’abitato è menzionato come Brahalla o Brakhalla, forse dall’arabo “benedizione di Dio”. Nel 1337, il nome del paese muta prima in Altoflumen, Altofiume, poi tra il 1343 e 1345, assume definitivamente quello di Altomonte per volere della Regina Giovanna I.

Il borgo è inserito in un felice scenario naturale che abbraccia le cime del Pollino e dell’Orsomarso, il mare Ionio, la piana di Sibari e la valle dell’Esaro. A pochi km da Altomonte si trova la Riserva del Farneto, un tempo riserva di caccia dei Sanseverino, con laghetto da pesca. In breve si raggiungono le comunità albanesi della Calabria e il Parco Nazionale del Pollino, dove c’è possibilità di trekking, così come nella Valle dell’Argentino e del Rosa, è di imminente apertura il Parco del fiume Grondo (passeggiata naturalistica lungo le rive del fiume, area picnic) a tre km dall’abitato.

 

La storia

I sec. d. C., resti di una villa romana testimoniano la presenza di un abitato verso il fiume Esaro, menzionato con il nome di Balbia da Plinio il Vecchio nella sua Historia Naturalis.
IX-X sec., l’insediamento viene spostato più in alto per sfuggire alle incursioni dei Saraceni.
1052, prime notizie di un’espansione dell’abitato in epoca normanna, conseguente alla costruzione di nuovi edifici civili e religiosi (chiesa di Santa Maria de’ Franchis, prima di diventare chiesa della Consolazione; castello e torre detta dei Pallotta).
Nel 1065, il borgo è indicato in un documento con il nome di Brahalla, che muta nel 1337 in Altoflumen e infine in quello attuale.

1343-45, il conte Filippo Sangineto, cavaliere di re Roberto d’Angiò, dà inizio allo sviluppo di Altomonte edificando la chiesa della Consolazione, che arricchisce di opere d’arte dei maestri toscani.

1381, con l’estinzione della linea maschile del casato dei Sangineto, diventano nuovi feudatari i Sanseverino, imparentati con i Ruffo di Sicilia. La famiglia Sanseverino favorisce l’arrivo dei Domenicani e continua il mecenatismo dei precedenti signori, mantenendo il possesso del feudo sino agli inizi dell’Ottocento.
1588, il filosofo Tommaso Campanella soggiorna nel cenobio domenicano, protagonista della Riforma in Calabria.

I musei

Museo Civico,
ex Convento Domenicano: straordinaria raccolta di opere d’arte provenienti la maggior parte dal Convento e dalla chiesa di Santa Maria della Consolazione. Su tutte spiccano i capolavori dei maestri toscani del Trecento, come il San Ladislao di Simone Martini, commissionato da Filippo Sangineto nel 1326, e le due tavole di Bernardo Daddi, pittore fiorentino seguace di Giotto.Del Maestro dei Penna, operante a Napoli agli inizi del XV sec., sono le storie della Passione di Cristo, mentre provengono da un atelier francese del XIV sec. le lastre di alabastro bianche con le Storie della Vergine. La splendida Madonna delle Pere è opera di Paolo di Ciaco (1460); notevoli anche la pala d’altare attribuita a un discepolo del Solimena, maestro settecentesco celebre per il suo “tenebrismo”, e il ciborio ligneo custodito nella terza sala, arte monastica cappuccina a cavallo dei secoli XVII e XVIII.

Museo Azzinari,
presso torre Pallotta (torre Normanna costruita nel 1050) interamente dedicata al pittore Franco Azzinari.
L’ex complesso monastico dei Domenicani ospita anche la Biblioteca Civica e quella Storica, la sede della Assemblea Musicale Franco Ferrara, la Pinacoteca Comunale d’Arte Moderna, la galleria d’arte Il Chiostro. In una grotta naturale nel centro storico la raffigurazione del Presepe.

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